Nei primi decenni della cardiochirurgia, anni ’50-’70 dello scorso secolo, la causa più frequente della malattia della valvola mitrale, che portava il paziente all’intervento, era la malattia reumatica.

Questa, per le sue caratteristiche di progressività e per il ritardo di invio del paziente alla chirurgia, allora molto più rischiosa, rendeva necessaria la sostituzione della valvola con una protesi artificiale.

Fin da subito, però, ci si è resi conto che, nei casi in cui questa era possibile, la riparazione della valvola dava risultati di sopravvivenza immediati e a distanza, un tasso di complicanze ed una qualità di vita superiori rispetto alla sostituzione con protesi. Per questo motivo, alcuni gruppi cardiochirurgici, soprattutto europei – francesi e italiani - iniziarono a sperimentare ed utilizzare tecniche sempre più avanzate per riparare la valvola mitrale.

In particolare, il gruppo francese diretto dal professor Alain Carpentier cercò di mettere ordine e definire le tecniche chirurgiche più adatte per correggere le alterazioni della valvola mitrale, in base ai meccanismi diversi che potevano determinare l’insufficienza (figura 1).

La sua classificazione funzionale  suddivide i casi in insufficienza valvolare con normale mobilità dei lembi (tipo 1), dovuta a dilatazione dell’anello o perforazione dei lembi, da quelli di tipo 2, provocata da un movimento dei lembi aumentato (tipico del prolasso). Il tipo 3 comprende tutti i pazienti con una mobilità dei lembi ridotta per degenerazione reumatica, fusione e ispessimento di tutte le componenti della valvola (tipo 3a), oppure per riduzione del loro movimento dovuto al danno legato all’ischemia o all’infarto del muscolo del ventricolo sinistro (tipo 3b).

In base a questa classificazione, vari cardiochirurghi, nel tempo, hanno proposto, sperimentato e utilizzato clinicamente diverse tecniche, cercando di correggere i diversi meccanismi, che concorrono a produrre l’insufficienza valvolare.

Queste tecniche classiche hanno dimostrato, con il passare del tempo, di produrre risultati positivi, anche per molti anni, nella maggioranza dei pazienti.

L’aspetto più importante, che si è costantemente confermato, è l’indubbia superiorità della ricostruzione della valvola mitrale rispetto alla sua sostituzione per quanto riguarda:

- la sopravvivenza precoce e a distanza,
- la frequenza di complicazioni legate alla protesi valvolare artificiale e alle terapie necessarie in caso di sostituzione,
- la qualità della vita del paziente.

Inoltre, si è evidenziato che, condizione indispensabile per garantire questi benefici, l’intervento di ricostruzione deve produrre un risultato immediato soddisfacente e duraturo nel tempo.

Una persona più o meno giovane, che subisca un intervento di riparazione valvolare mitralica per patologia degenerativa, effettuata con tecniche che producano un risultato ottimale immediato e garantiscano la permanenza di questo risultato, prevenendo l’evoluzione della malattia nel tempo, ha una aspettativa di vita simile a quella dei suoi coetanei normali. Ha la possibilità di svolgere tutte le attività fisiche adeguate alla sua preparazione, non ha rischi legati alla terapia farmacologica cui viene sottoposto, in quanto non dovrà effettuarne alcuna, legata solo al fatto di essere stato operato.

Un paziente che debba subire la sostituzione valvolare per insufficienza mitralica (inevitabile in alcuni casi, fortunatamente sempre più rari in mani esperte) è una persona che, a prescindere dalla sua situazione clinica, dovrà sottoporsi a terapie particolari (terapia anticoagulante), che influiscono sulla qualità di vita. Infatti, queste terapie prevedono controlli periodici della coagulazione del sangue, pena il rischio di trombo-embolie o di emorragie, entrambe molto pericolose.

Inoltre, la presenza di una protesi artificiale a livello della valvola mitrale, provoca una riduzione della capacità di contrazione del cuore nella zona di impianto. Questa riduzione, se poco significativa in cuori con buona efficienza, può determinare un danno più rilevante nei pazienti che già hanno una riduzione della funzione di pompa del loro muscolo cardiaco.

Alla luce di tutto questo, qualsiasi tecnica chirurgica che consenta di aumentare il numero e la tipologia di valvole ammalate, per qualsiasi causa, che possono venir riparate, dovrebbe venir utilizzata.

Questa è stata la logica che ha determinato la mia ricerca di tecniche utilizzabili per aumentare i casi di valvole mitrali riparabili e per favorire la durata nel tempo del risultato positivo.

Le corde artificiali, da me messe a punto, si sono dimostrate fondamentali in questo senso e ora vengono utilizzate nelle cardiochirurgie di tutto il mondo.



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