LE TECNICHE CHIRURGICHE

In questa sezione, sono disponibili anche filmati reali intraoperatori. Non hanno lo scopo di fornire alcuna informazione scientifica di tecnica operatoria per i chirurghi, ma solo di mostrare la consistenza e delicatezza delle strutture interessate, la molteplicità di manovre e procedure che si debbono mettere in atto per riparare in modo corretto e duraturo la valvola mitrale. Spero possano servire anche ai pazienti già operati e, soprattutto, a coloro che dovranno farlo, per esemplificare quanto a parole talvolta il cardiochirurgo non riesce ad illustrare in modo comprensibile. Mi piacerebbe che potessero aiutare a togliere quel velo di mistero che avvolge l’intervento cardiochirurgico… toccare e fermare il cuore…aprirlo…ripararlo…farlo ripartire…Spero possano contribuire a rendere più familiare, e quindi sereno, l’approccio del paziente alle tecniche chirurgiche specifiche di questa patologia.

Dopo aver concluso la preparazione preoperatoria, inizio con il descrivere quello che avviene dal risveglio del paziente il mattino del giorno stabilito per l’intervento.

Descriverò un tipico esempio di ricostruzione valvolare mitralica in caso di malattia degenerativa (prolasso). Più avanti illustrerò le caratteristiche dei diversi interventi, che si effettuano per ricostruire la valvola mitrale in caso di altri tipi di patologie come, ad esempio, l’infezione o l’infarto.

Se l’intervento è previsto per il mattino, gli viene somministrata la preanestesia. Questa consiste, in genere, nella assunzione di un farmaco, che riduce lo stato d’ansia e consente al paziente di giungere in sala operatoria rilassato, talora addirittura assopito. Se l’intervento è previsto nel pomeriggio, la preanestesia verrà somministrata in tarda mattinata, circa un’ora prima del trasferimento in sala operatoria.

All’arrivo in sala operatoria, verrete accolti dagli infermieri professionali di quel settore, che appresteranno la prima parte del monitoraggio, completato successivamente dall’anestesista. Questa procedura consiste nell’attivare un controllo continuo dell’elettrocardiogramma, della pressione arteriosa, della pressione venosa all’interno del vostro cuore (pressione venosa centrale), della temperatura corporea superficiale ed interna. Vi verranno inserite alcune piccole cannule nelle vene per iniettare i farmaci necessari durante l’intervento.

Vi verrà effettuata, se in uso nel centro da voi scelto, una procedura che consente di ridurre il dolore postoperatorio, aiutandovi in una ripresa più veloce e confortevole: l’anestesia spinale. Consiste nell’iniettare nella schiena, in prossimità del midollo spinale, a livello del torace, una sostanza che riduce la percezione del dolore per almeno 24 ore.

A questo punto verrà indotta l’anestesia: vi saranno somministrati farmaci che vi faranno addormentare serenamente.

Verrete quindi intubati: un apposito tubo verrà inserito dalla bocca all’interno della trachea per consentire l’insuflazione di ossigeno e aria nei polmoni.

Vi verrà inserita dalla bocca anche la sonda per l’ecocardiografia transesofagea (TEE). Qualcuno sa già cos’è questo tipo di ecocardiografia e a che cosa serve, perché vi si è già sottoposto nella preparazione preoperatoria. Questo esame consente al cardiochirurgo, in sala operatoria, di visualizzare esattamente la situazione in quel momento, i meccanismi esatti che provocano l’insufficienza della valvola, le zone interessate, le zone da rinforzare. Può, inoltre, vedere se esistono altre lesioni cardiache, come malfunzioni di alte valvole e coesistenza di difetti congeniti, e valutare lo stato di salute (la funzionalità) del muscolo cardiaco, oltre che le dimensioni delle cavità del cuore. Tutto questo dà la possibilità al cardiochirurgo di pianificare nei minimi dettagli le varie procedure e manovre che dovrà effettuare durante l’intervento, valutando l’estensione della malattia e i diversi meccanismi che la determinano,


TEE preoperatoria.

 
e controllando con il doppler a colori l’entità e la direzione del getto di rigurgito mitralico.


 

TEE doppler preoperatoria.


Dopo aver proceduto ad una disinfezione accurata, ripetuta più volte, di tutte le parti del corpo che saranno sede di manovre chirurgiche certe o possibili (torace, parte alta dell’addome, inguini, gambe), si delimita il campo operatorio con teleria sterile, che lascia esposte solo le zone interessate dagli accessi chirurgici (figura 1).

Nell’intervento più comune, il chirurgo effettua una sternotomia longitudinale totale, cioè una incisione a livello del petto, da 3 cm al di sotto della fossetta che abbiamo alla base del collo fino alla fine dell’osso (sterno) al centro delle coste. Seziona tutti gli strati di tessuto fino all’osso, che viene segato a sua volta. A questo punto si applica uno strumento (divaricatore) che consente di dare accesso all’interno del torace (mediastino) dove si evidenziano le porzioni anteriori dei due polmoni, che vengono spostate per mettere in luce il sacco pericardico, che contiene il cuore (figura 2).

A questo punto iniziano le differenze nelle tecniche utilizzate dai diversi cardiochirurghi. Io descriverò, ovviamente, la mia esperienza.

Come ho affermato anche in altre parti del sito, lo scopo delle mie ricerche e della loro applicazione clinica è stato sempre quello di cercare di ricostruire nel modo più naturale (fisiologico) le strutture, normalizzando quindi la funzione, della valvola mitrale.

Per questo motivo, ho cercato di trovare il modo di utilizzare il più possibile materiali autologhi (provenienti dal paziente stesso) per le varie manovre utilizzate nella ricostruzione. In questa logica, dopo aver esposto il sacco pericardico, anziché aprirlo semplicemente, come fanno tutti i cardiochirurghi, ne prelevo una porzione di circa 6/7 x 6/7 cm per utilizzarla successivamente per diversi scopi. Questa parte di pericardio viene immersa in una soluzione particolare (glutaraldeide 0,6% tamponata) per renderla stabile, robusta, non attaccabile da reazioni del corpo del paziente, che potrebbero distruggerla, come una sostanza estranea, digerendola. Successivamente potete trovare un breve filmato che illustra le fasi del prelievo, fissazione e utilizzo del pericardio per effettuare l’anuloplastica della valvola mitrale, di cui parleremo più avanti.

Successivamente si mettono in atto tutte le manovre che servono per instaurare la Circolazione Extra-Corporea (CEC) per mezzo della macchina cuore-polmone (figura 3). Questa tecnologia, messa a punto nei primi anni ’50 del secolo scorso, ha aperto le porte del cuore ai cardiochirurghi. Prima, si potevano effettuare solo procedure sulla superficie del cuore, mentre pulsava regolarmente, o poche manovre al suo interno, alla cieca, penetrandovi con le dita o con qualche strumento particolare, attraverso dei fori praticati nelle pareti delle sue camere.
La CEC consente, invece, di deviare la circolazione del sangue dal cuore, prelevandolo dalla circolazione venosa prima del suo ingresso nell’atrio destro e pompandolo a valle nella circolazione arteriosa a livello dell'aorta.

 La macchina cuore-polmone come spiega il suo stesso nome, oltre alla funzione descritta sopra di pompare il sangue al posto del cuore, svolge anche il compito dei polmoni


 

Circolazione extracorporea.


di depurare il sangue proveniente dal circolo venoso dalla sostanza da eliminare raccolta in tutto il corpo (anidride carbonica) e di arricchirlo del carburante che dovrà distribuire con il circolo arterioso a tutti gli organi (ossigeno).

Consentitemi, adesso, una piccola digressione storica. I primi ad accorgersi dell’esistenza del cuore, un organo che continuava a muoversi anche dopo la morte del corpo, furono i nostri antenati che abitavano la grotta di El Pindal circa 13.000 anni fa (figura 4).


Per quanto riguarda la circolazione del sangue, già nel 1242 Ibn al-Nafis, uno studioso arabo, fra i primi ad effettuare le dissezioni dei corpi, descrisse la circolazione polmonare, capillare, coronarica (figura 5).

Solo nel 1628 William Harvey descrisse il movimento del sangue nei vasi sanguigni (figura 6).

Appurato che le conoscenze in questo campo hanno radici profonde e solide, torniamo alla macchina cuore-polmone, che ci consente di supplire completamente alle funzioni del cuore e dei polmoni. Inserendo apposite cannule a livello dell’atrio destro e dell’aorta, abbiamo la possibilità, così, di by-passare (creare un ponte escludendoli) il cuore ed i polmoni. 

Si attiva la macchina e, a questo punto, si può isolare il cuore, rendendolo privo di sangue, dal resto della circolazione occludendo l’aorta, con un apposito strumento detto clamp (figura 7).

 

Inizia ora la parte centrale dell’intervento, nella quale ogni paziente è diverso dagli altri. Si incide la parete dell’atrio sinistro del cuore per poter mettere in evidenza le strutture della valvola mitrale dall’alto (figura 8).

Innanzitutto va effettuata una accurata esplorazione di tutte le componenti della valvola: anello, lembi, corde tendinee, muscoli papillari, parete ventricolare.

Come ho descritto nella sezione dedicata alle diverse cause di insufficienza mitralica, i meccanismi sono diversi in ciascuna di queste e, quindi, diverse saranno le manovre e le tecniche da utilizzare per effettuare una ricostruzione efficace e duratura.

La filosofia che, a mio parere, deve seguire un cardiochirurgo, determinato nel ricostruire in modo efficace e duraturo il maggior numero di valvole possibili, è quella di conoscere e saper mettere in atto tutte le differenti tecniche e manovre messe a punto dai vari ricercatori, individualizzandone, poi, l’utilizzo a seconda delle caratteristiche del paziente.

Parlando di un tipico caso di prolasso della valvola mitrale, bisogna valutare il grado di dilatazione dell’anulus, per poter determinare di quanto si debba restringere. Si osservano, inoltre, le corde tendinee per evidenziare se sono allungate, o addirittura rotte, se siano ispessite o assottigliate al fine di stabilire se, dove e quante corde artificiali debbano essere applicate. A questo fine, si valutano i muscoli papillari, che possono variare come numero e distribuzione, per definire i punti di ancoraggio delle nuove corde tendinee. Vengono, poi, esaminate le 8 componenti che normalmente costituiscono i due lembi di chiusura della valvola (A1, A2, A3, P1, P2, P3, commissura anteriore e commissura posteriore). Questi possono essere ridondanti, spessi, con eccesso di tessuto (degenerazione mixoide), oppure sottilissimi, trasparenti con poco tessuto (deficienza fibroelastica); possono avere delle fessure profonde fra di loro; possono avere zone calcificate, immobili….Tutte queste alterazioni richiedono specifiche manovre e tecniche chirurgiche di correzione.

Al termine di questa complessa valutazione viene stabilita la strategia e la successione delle diverse tecniche che debbono venir utilizzate per correggere in modo efficace e duraturo tutte le alterazioni evidenziate.



Analisi intraoperatoria

Una volta definita la strategia chirurgica, si procede ad eseguire le manovre previste, iniziando da quelle che tolgono, riducono il tessuto valvolare per ottenere una visuale più ampia del campo operatorio. Se si è deciso di agire anche sul lembo posteriore, generalmente, al giorno d’oggi, fra le tecniche tradizionalmente utilizzate, resta la resezione quadrangolare, associando o meno la riduzione dell’altezza, di questo lembo (sliding quadrantectomy).

Questa procedura consiste nell’asportare la parte prolassante del lembo posteriore, suturando fra di loro i due monconi restanti (figura 9) e, se necessario, abbassando la loro altezza, affinché non si determini un meccanismo di chiusura della valvola inadeguato (SAM = systolic anterior motion), argomento di interesse specialistico che, quindi, non approfondirò in questa sede. In ogni caso, questa tecnica richiede esperienza nella valutazione e un tempo chirurgico aggiuntivo di ischemia cardiaca non trascurabile.

Personalmente, avendo introdotto nell’esperienza clinica umana in Italia la tecnica di applicazione di corde tendinee artificiali nel 1986, dopo 2 anni di lavoro sperimentale negli Stati Uniti, da più di 10 anni utilizzo un approccio diverso, a mio parere, più semplice e veloce, nella maggior parte di questi casi. Infatti, mi limito ad asportare il margine libero del lembo posteriore (figure 10 a-b-c), dove si inseriscono le corde artificiali allungate o rotte, riducendone l’altezza a quanto ritenuto utile per evitare il SAM. Il nuovo margine libero verrà supportato da corde artificiali che consentiranno di regolare la profondità di chiusura del lembo posteriore nei confronti del lembo anteriore.

A prescindere dalla tecnica applicata a livello del lembo posteriore, a questo punto, si debbono inserire le corde artificiali, che dovranno sostenere tutte le aree dei lembi valvolari prive di supporto (corde rotte o allungate), o con supporto affidato a corde alterate (ispessite o assottigliate), che nel futuro potrebbero determinare la progressione della malattia con ricomparsa dell’insufficienza valvolare. 

La tecnica di applicazione di corde tendinee artificiali, negli anni, dopo la nostra introduzione clinica nel 1986, ha subito una espansione progressiva a livello mondiale, tanto che numerosi gruppi di chirurgia cardiaca, ritenendola metodica di prima scelta, hanno proposto, e propongono ancora, variazioni tecniche, fondamentalmente nella valutazione della lunghezza delle neo-corde, l’aspetto più condizionato all’esperienza specifica del cardiochirurgo.

Personalmente, dopo circa 25 anni di utilizzo (sperimentale e clinico), ritengo di dover proseguire ad adottare sempre la stessa metodica, che mi ha concesso di ottenere risultati ottimali e riproducibili da parte di tutti i cardiochirurghi, che hanno seguito i miei suggerimenti. Ovviamente, come per ogni procedura chirurgica, sono sempre aperto a qualsiasi contributo possa rendere più semplice, efficace ed efficiente la tecnica di utilizzo. Sto collaborando, infatti, con altri cardiochirurghi che propongono di utilizzare diverse metodiche per rendere ancora più semplice e, quindi, utilizzabile anche da chirurghi con minore esperienza, l’applicazione delle corde artificiali.

Descriverò, a questo punto, le varie fasi di applicazione delle corde artificiali in Gore-Tex®, da me messa a punto sperimentalmente nel 1985, presso i laboratori dell’Albert Einstein College of Medicine di New York. Sono dettagli che potrebbero interessare più gli “addetti ai lavori”, i cardiochirurghi, che i pazienti. D’altra parte, nella mia esperienza clinica, da tempo numerosi pazienti mi chiedono dettagli precisi sulla tecnica chirurgica e alcuni mi hanno chiesto di poter avere anche un breve video-clip sulla metodica, per riguardarla a casa. D’ora in poi, questa curiosità potrà trovare risposta in questo sito.

La prima fase consiste nell’ancorare quelle che saranno le future corde tendinee artificiali ai muscoli papillari, nei punti da cui originano quelle naturali alterate o rotte (posizione ortotopica). Vengono utilizzati filamenti in Gore-Tex® di diametro molto sottile (5-0) in modo che la nuova corda artificiale, una volta ricoperta dal tessuto del paziente, che crescerà sia dal lato del muscolo papillare che da quello del lembo, avrà una dimensione assolutamente sovrapponibile a quella delle corde naturali, ma con una resistenza allo stress 10 volte superiore rispetto a queste.

Al fine di evitare problemi per la stabilità dell’ancoraggio, io continuo a rinforzarlo con dei piccoli frammenti (pledget) di pericardio del paziente, per evitare quanto mi ha personalmente segnalato il professor Tirone David, che per primo ha utilizzato la tecnica delle corde artificiali, dopo i miei risultati sperimentali.


Animazione ancoraggio papillari


Se non si rinforza l’ancoraggio a livello del muscolo  papillare, ad esempio con un pledget di pericardio autologo,



  Ancoraggio papillari.
 

sono stati riportati casi di rottura del muscolo con disancoraggio delle corde artificiali.

Dopo aver fissato ai papillari tutte le corde artificiali previste, si procede alla ricostruzione delle eventuali resezioni effettuate sui lembi valvolari e alla chiusura delle discontinuità di tessuto (schisi o indentazioni)  che spesso si riscontrano in queste valvole patologiche. In questo modo si dispone dei lembi ricostruiti in modo definitivo e le corde artificiali potranno essere ancorate a loro nella posizione più corretta.

Nella seconda fase si fissano i capi delle corde artificiali al margine libero dei lembi. Anche a questo livello, esistono vari metodi utilizzati da diversi chirurghi. Io, da sempre, utilizzo un doppio passaggio nel tessuto del lembo per creare un attrito che consentirà di effettuare i test finali (vedi terza fase) senza alterare la lunghezza prestabilita delle corde artificiali.



Animazione ancoraggio lembi


Questo particolare tecnico si è dimostrato un elemento cruciale per il successo dell’intervento.



Ancoraggio lembi

Dopo aver ancorato tutte le nuove corde ai lembi valvolari, si effettua la manovra di riduzione del diametro dell’anulus valvolare (anuloplastica). E’ una manovra indispensabile. E’, infatti, inequivocabilmente dimostrato che qualsiasi tecnica utilizzata per ricostruire una valvola mitrale degenerata, non potrà avere un risultato positivo a lungo termine se non viene ristabilita e fissata la dimensione corretta del suo anulus.

Fin dal maggio 1988 (più di 21 anni di esperienza) utilizzo solo il pericardio, nella quasi totalità dei casi, del paziente (autologo), preparato come ho descritto sopra.


 

Anuloplastica con pericardio


Questo vale per tutti i casi di malattia degenerativa o infettiva della valvola, mentre, in caso di insufficienza mitralica di origine ischemica o da cardiomiopatia dilatativa, applico anelli protesici (figura 11).

La fettuccia di pericardio ha la funzione di fissare il diametro corretto dell’anulus, consentendo, nello stesso tempo, di preservare il suo movimento di apertura e chiusura (sfintere sisto-diastolico), oltre che di spostamento nelle due direzioni alto-basso, rispetto alla punta del cuore, che consentono di rendere ottimale la contrazione del ventricolo sinistro, al contrario di quanto succede quando viene utilizzato un anello artificiale (protesico). Nel tempo (più di 21 anni) non sono venuto a conoscenza di un solo caso di ricomparsa di insufficienza di una valvola mitralica, riparata con l’utilizzo di questa tecnica di anuloplastica, dovuto alla malfunzione della fettuccia di pericardio.

Ovviamente, anche per questa manovra, è fondamentale rispettare alcuni precetti ineludibili (di interesse assolutamente specialistico) sulla dimensione e sulla corretta zona di ancoraggio della fettuccia di pericardio, o di ogni altro tipo di anello artificiale.

E’ il momento della terza fase di applicazione delle corde artificiali, la più critica per ottenere un risultato positivi immediato e duraturo nel tempo: determinare la lunghezza corretta delle varie corde artificiali predisposte. Lo scopo è quello di far combaciare i margini dei due lembi, all’interno del ventricolo sinistro, per evitare l’insufficienza.


Animazione lunghezza corde artificiali


Per ottenere questo risultato, dopo aver avvicinato i lembi nella probabile posizione corretta,



Lunghezza corde artificiali

 

si gonfia il ventricolo sinistro con una soluzione idonea (test idrodinamico) per far combaciare i lembi  della valvola e valutare se la chiusura avviene in modo corretto, o se persistono punti di scarso contatto e, quindi, di persistenza dell’insufficienza.



Prova idrodinamica


Utilizzando la mia metodica, a questo punto esiste ancora la possibilità di modificare la lunghezza delle nuove corde artificiali, in modo da ottenere un risultato ottimale.

Solo a questo punto si passa alla fissazione definitiva delle corde, legando i due filamenti che le compongono con una tecnica ben precisa, che richiede esperienza, per evitare di alterarne la lunghezza prestabilita.



Legatura corde artificiali


Un test idrodinamico finale conferma la correttezza della riparazione effettuata.



Prova idrodinamica finale


Si procede quindi alla sutura dell’atrio sinistro, all’apertura dello strumento che aveva isolato il cuore dal resto della circolazione (clamp), ripristinando, quindi, il flusso di sangue nelle arterie coronarie e consentendo al cuore di riprendere la sua attività elettrica e meccanica, spontaneamente o con una scossa elettrica. Lentamente si svezza il cuore dalla circolazione extracorporea (CEC), ripristinando anche la ventilazione dei polmoni. 

A questo punto, il controllo ecocardiografico intraesofageo (TEE), può dare la garanzia del successo della ricostruzione sia come apposizione corretta dei lembi.

 TEE controllo postoperatorio

che come assenza di insufficienza residua. Nei rarissimi casi in cui il risultato non è ottimale, si determina, con il cuore in movimento, il meccanismo che provoca l’imperfezione della ricostruzione e si procede ad una ulteriore correzione.

Alla fine vengono rimosse tutte le cannule che erano state inserite per effettuare la circolazione extracorporea e si procede alla chiusura del torace del paziente, lasciando uno o più tubi di drenaggio. Questi escono al di sotto della ferita chirurgica e consentono la fuoruscita delle secrezioni che si formano nelle prime ore. Inoltre vengono applicati due sottili filamenti elettrici che, collegati ad un pace-maker provvisorio esterno, potranno venir utilizzati per modulare la frequenza dei battiti cardiaci, a seconda delle necessità, nelle prime giornate dopo l’intervento. I tubi di drenaggio vengono rimossi, in genere, dopo un paio di giorni dall’intervento. I filamenti del pace-maker vengono asportati prima della dimissione dall’ospedale.

La tecnica che ho appena descritto, l’applicazione di corde tendinee artificiali, può essere utilizzata, in talune situazioni, anche in occasione di reintervento, in caso di recidiva di insufficienza mitralica, dopo un primo intervento effettuato con altre metodiche.

Riporto qui, solo come esempio, il caso di un paziente operato con la tecnica del doppio orifizio, presso un’altra struttura. Dopo circa tre mesi dall’intervento, è ricomparsa un’insufficienza mitralica che si è progressivamente aggravata, provocando una ulteriore dilatazione dell’atrio sinistro e la comparsa di aritmie.

Il paziente è giunto alla mia osservazione ed ho proceduto al reintervento. Dopo aver asportato l’anello protesico, ancorato non correttamente all’anulus mitralico, ed aver separato i due lembi, che erano stati suturati fra di loro per generare il doppio orifizio, ho asportato il tessuto fibrotico che si era formato in sede di sutura. Ho applicato corde tendinee artificiali, con la consueta metodica, per riportare i lembi prolassanti nella corretta posizione. Un nuovo anello protesico è stato collocato per stabilizzare la riparazione.



Reintervento


L’esame ecocardiografico intraoperatorio ha dimostrato una perfetta continenza della valvola mitrale.

Anche i controlli a distanza (oltre 3 anni) hanno mostrato assenza di insufficienza mitralica.



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